Capitolo 1

Il profeta ricevette dal Signore l’indicazione di recarsi nella città di Ninive per invitare gli abitanti a ravvedersi dal male e dai peccati diventati eccessivi davanti all’Eterno. Giona però si rifiutò di andare e cercò di eludere l’ordine divino allontanandosi, perché pensò che Dio si sarebbe pentito del castigo minacciato se i niniviti si fossero ravveduti e, per la sua grande misericordia, li avrebbe perdonati. ”Ma Giona si levò per fuggire a Tarshish, lontano dalla presenza dell’Eterno. Così scese a Giaffa, dove trovò una nave che andava a Tarshish, lontano dalla presenza” (v.3).

Non si può ingannare Dio, né fuggire lontano dalla sua presenza o cambiare il suo piano. Dio fece levare un gran vento così forte che la nave rischiò di rompersi improvvisamente e tutti i marinai furono molto spaventati dalla tempesta a tal punto che, disperati di perdere la vita, ognuno gridò aiuto al suo dio, mentre Giona stava dormendo sul fondo della nave. Non vedendo alcun miglioramento, essi andarono allora a svegliare Giona, chiedendogli di invocare il suo Dio, affinché potesse salvarli. Nel frattempo alcuni decisero di tirare a sorte per conoscere il responsabile fra tutti i presenti e la causa di quella tremenda situazione: “…Così gettarono le sorti e la sorte cadde su Giona. Allora gli chiesero: -Spiegaci dunque per causa di chi ci è venuta addosso questa sciagura. Qual è il tuo mestiere? Da dove vieni? Qual è il tuo paese? A quale popolo appartieni?- Egli rispose loro: -Io sono un ebreo e temo l’Eterno il Dio del cielo, che ha fatto il mare e la terra ferma” (v.7-9).

I marinai seppero da Giona che stava scappando dalla presenza di Dio e per questo motivo essi temettero Dio, tanto da rivolgersi al profeta, perché la tempesta si calmasse. “Egli rispose loro: -Prendetemi e gettatemi in mare e il mare si calmerà per voi, perché io so che questa grande tempesta vi è venuta addosso per causa mia-” (v.12). Anche se Giona aveva indicato la causa e la soluzione a quella circostanza, essi non volevano essere ritenuti colpevoli della sua morte. Intanto la tempesta si faceva sempre più forte, così essi “gridarono all’Eterno e dissero: -Deh, o Eterno, ti preghiamo, non lasciare che periamo per la vita di questo uomo e non renderci colpevoli di sangue innocente, perché tu, o Eterno, hai fatto come ti è piaciuto-” (v.14). A questa implorazione allora essi presero il profeta, lo gettarono in mare e così la tempesta si calmò, proprio come egli aveva annunciato. A questo punto i marinai, sorpresi, riconobbero Dio come unico Signore e fecero dei voti con dei sacrifici all’Eterno. Tramite il profeta Giona, essi furono i primi a convertirsi, avendo Dio mostrato loro la sua grandezza.

L’Eterno conosce e fa accadere diverse situazioni, perché attraverso esse, molti lo riconoscano e si convertano a Lui.

Dalle circostanze avverse, seguenti all’abbandono in mare, il profeta capì il suo errore e compì subito la volontà di Dio, giungendo nella città di Ninive e, come proclamò il ravvedimento, gli abitanti credettero e, pentiti, si convertirono al Signore. A differenza di quei marinai, che non potendo ascoltare la predicazione del profeta come i niniviti, si resero conto sia dagli eventi, sia dalle loro vane richieste di aiuto agli dei e sia dalla prova di Giona, che solo Dio, l’Eterno, li salvò e, ravvedendosi dagli idoli, lo riconobbero come il Signore, il Creatore del cielo e della terra.

Capitolo 2.

Quando Dio opera, sicuramente lo fa in modo speciale, perché Egli è il Signore, l’Eterno non è un uomo che sbaglia. Il suo piano era quello di mostrare la sua potenza ai marinai di quella nave, ma anche quello di salvare il profeta, di riportarlo indietro allo scopo di esortare al ravvedimento il popolo di Ninive. Così accadde, come per ogni piano di Dio.

Ora l’Eterno aveva preparato un grosso pesce perché inghiottisse Giona; e Giona fu nel ventre del pesce tre giorni e tre notti. Allora Giona pregò l’Eterno, il suo Dio, dal ventre del pesce, e disse: -Nella mia sventura ho gridato all’Eterno ed egli mi ha risposto…” (v.1-3).

Giona rimase lì e, in quelle condizioni, fece orazioni a Dio per la sua vita. Poniamo particolare attenzione alla sua preghiera: egli ringraziava Dio per la sua salvezza, quando ancora era nel ventre del pesce: “Nella mia sventura ho gridato all’Eterno ed egli mi ha risposto; dal grembo dello Sceol ho gridato e tu hai udito la mia voce. Tu mi hai gettato in un luogo profondo, nel cuore dei mari,… ma io con voci di lode ti offrirò sacrifici e adempirò i voti che ho fatto. La salvezza appartiene all’Eterno-” (v.3,4,10). Dio allora comandò al pesce di vomitare Giona sull’asciutto ed il pesce ubbidì.

Capitolo 3.

Quando Giona si trovò sulla terra, fuori dal pesce, Dio gli ricordò di andare alla grande città di Ninive e di predicare ciò che l’Eterno gli avrebbe detto. “Così Giona si levò e andò a Ninive, secondo la parola dell’Eterno. Or Ninive era una molto grande davanti a Dio, di tre giornate di cammino. Giona cominciò ad inoltrarsi nella città per il cammino di una giornata e, predicando, diceva: Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta-” (v.3,4).

Alla predicazione del profeta, i Niniviti credettero a Dio e si misero a digiunare dal più piccolo al più grande di loro, vestiti di sacco: ”Quando la notizia giunse al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise a sedere sulla cenere” (v.6). Il re ordinò quindi con decreto che nessuno prendesse cibo, né uomini, né animali di qualsiasi specie, di non bere acqua e che si vestissero tutti si sacco “…e gridino a Dio con forza; ognuno si converta dalla sua via malvagia e dalla violenza che è nelle sue mani. Chi sa che Dio non si volga, non si penta e metta da parte la sua ira ardente e così non periamo-“ (v.8,9). Dio così vide che il popolo si era pentito dalle opere malvagie e perciò non mandò su di loro la distruzione, che aveva annunciato per mezzo del profeta.

Capitolo 4.

Il profeta Giona fu allora dispiaciuto che Dio avesse ritirato dai pentiti Niniviti il male che aveva deciso di mandare a loro, se non si fossero ravveduti e si giustificò della sua fuga a Tarsis, “Deh, o Eterno, non era forse questo che dicevo quand’ero ancora nel mio paese? Per questo sono fuggito in precedenza a Tarshish, perché sapevo che sei un Dio misericordioso e pieno di compassione lento all’ira e di gran benignità, e che ti penti del male minacciato” (v.2).

Giona chiese a Dio di riprendersi la sua anima, perché era meglio per lui morire, anziché vivere, “Ma l’Eterno gli disse: -Ti pare giusto adirarti così?” (v.4).Giona si pose a sedere all’ombra, fuori dalla città, aspettando “…di poter vedere ciò che sarebbe successo alla città” (v.5).

Osserviamo la grandezza di Dio, perché preparò per lui un fresco migliore, facendo crescere una pianta di ricino, della quale Giona se ne rallegrò.

Dio aveva preparato per Giona una lezione.

Il ricino si seccò il mattino dopo e Giona fu così esposto al sole rovente, tanto che si sentì svenire, pronunciando “Per me è meglio morire che vivere. Dio disse a Giona: -Ti pare giusto adirarti così per la pianta?- Egli rispose: -Sì, è giusto per me adirarmi fino alla morte” (v.8,9).

Dio corresse il profeta, perché egli si rammaricava per una pianta, che non aveva faticato per farla nascere e farla crescere, cosìE non dovrei io aver compassione di Ninive, la grande città, nella quale ci sono centoventimila persone che non sanno distinguere la loro destra dalla loro sinistra, e una grande quantità di bestiame?-” (v.11).

Dio aveva risparmiato la città di Ninive, perché alla predicazione del profeta Giona si erano ravveduti dal male, altrimenti “Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta”. Dio riprese Giona con tanto amore e pazienza, facendogli capire che quello era un popolo, che addirittura non sapeva distinguere la destra dalla sinistra, ma che si erano ravveduti, che avevano creduto e perciò erano salvati.

Messaggio.

Chiediamoci quante volte anche noi ci siamo rifiutati di andare dove Dio ci voleva mandare, perché proprio lì c’erano delle anime da salvare? Penso mai, ma sicuramente non siamo sempre ubbidienti.

Quando sentiamo un desiderio o avvertiamo una sensazione, dobbiamo immediatamente riconoscerne la provenienza e decidere di conseguenza. Se la sua origine derivasse dalla nostra emotività, pensiero o sentimento sarebbe da escludere subito la sua realizzazione, perché è carnale. Se invece capissimo, sempre con l’aiuto dello Spirito Santo, il suo impulso, allora dovremmo scrupolosamente ascoltare le sue indicazioni e seguire la volontà divina.

Giona purtroppo non si diresse a Ninive per annunciare il ravvedimento,  ma prese un’altra direzione, non curandosi affatto della Parola dell’Eterno. Il profeta ubbidì al secondo ordine, perché Dio lo aveva fatto passare per una durissima prova ed egli aveva riconosciuto la misericordia e la grandezza di Dio. Giona si rattristò quando vide che i niniviti furono salvati.

Dio ritirò da loro il male che aveva annunciato, perché essi si ravvidero dai loro peccati, ottenendo il perdono..

Anche noi se ci ravvedessimo dai nostri peccati, come fecero gli abitanti di Ninive, non saremmo ritenuti colpevoli di condanna, anzi riceveremmo la vita eterna, per stare sempre insieme al nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo.