Capitolo 13.

Giuda e Gerusalemme vengono paragonate ad una cintura.

Dio diede ordine al profeta di comprare una cintura di lino e di mettersela sui fianchi; egli ubbidì ma dopo un po’ di tempo gli comandò di nasconderla in una buca della roccia, presso il fiume Eufrate. Trascorsi molti giorni gli disse di riprendere la cintura da dove l’aveva nascosta; “Io andai verso l’Eufrate, scavai e presi la cintura dal luogo in cui l’avevo nascosta. Ma ecco, la cintura era marcita, non era più buona a nulla” (v.7).

Così come la cintura di Geremia, Dio aveva scelto Giuda e Gerusalemme, tenendoli uniti a Sé, come una cintura aderisce ai fianchi, ma essi furono ribelli ed orgogliosi delle loro azioni malvagie. Un popolo dal collo duro si rifiutarono di ascoltare l’Eterno, rivolgendosi ad idoli stranieri, così Dio li diede in mano ai babilonesi, come un popolo smarrito, perché infedele.

Ancora i giudei vengono paragonati con dei vasi di vino pieni, compresi gli abitanti di Gerusalemme, che saranno colmi di ubriachezza, a cominciare dal re, che siede sul trono di Davide, a tutti i sacerdoti, profeti e tutti i suoi sudditi, come “…dice l’Eterno, -Non avrò pietà, non li risparmierò e non avrò alcuna compassione che m’impedirà di distruggerli-. Ascoltate e porgete orecchio: Non insuperbite, perché l’Eterno ha parlato” (v.14,15).

Inutilmente l’Eterno parlava al suo popolo, perché non ascoltava i continui avvertimenti di ritornare a fare il bene e di mettere in pratica le leggi dell’Iddio vivente per darGli gloria, ritenendoli consigli vani.

Dio ebbe molta pazienza con il suo popolo, mandando continuamente i suoi servi, i profeti, ad annunciare l’ira di Dio se non si fossero pentiti del male e si fossero ritirati dall’offrire oblazione agli idoli. Il popolo però induriva sempre più il suo cuore ed allora fu decretata la loro distruzione: “Li frantumerò l’uno contro l’altro, i padri e i figli insieme-, dice l’Eterno, -non avrò pietà, non li risparmierò e non avrò alcuna compassione che mi impedirà di distruggerli” (v.14).

Il profeta, per lo Spirito di Dio, espone al popolo ciò che avverrà in Israele se non si ravvedesse, come purtroppo accadde: essi aspettavano la Luce (il Messia), ma non lo riconobbero e né lo ricevettero (Gv.1:11), pertanto Dio cambiò la luce in tenebre ed in ombra di morte, perché furono consegnati sotto il potere dei gentili, loro nemici, i quali devastarono Israele e Giuda e distrussero Gerusalemme, cacciando via i superstiti, la diaspora del 70 d.C. Geremia era a conoscenza di quanto Dio aveva predetto per la malvagità del popolo, tanto che si addolorò molto e li implorò: “Ma se non ascoltate questo, l’anima mia piangerà in segreto a motivo del vostro orgoglio, i miei occhi piangeranno dirottamente e si scioglieranno in lacrime, perché il gregge dell’Eterno sarà condotto in cattività” (v.17).

Come ad Israele fu tolto ogni dominio, anche Gerusalemme, considerata come grande e forte città per la presenza di Dio, fu ridotta in rovine e desolata, perché i suoi abitanti furono abbandonati alla cattività babilonese per 70 anni e poi di nuovo esiliati dopo circa 600 anni, “Le città del sud sono chiuse e nessuno le aprirà; tutto Giuda è condotto in cattività, è condotto in cattività interamente” (v.19).

La profezia informa che se il deportato si chiedesse il motivo di tutta questa calamità, Dio risponderebbe: “…Per la grandezza della tua iniquità…” (v.22). Inoltre gli ebrei vengono comparati ad un Etiope, il quale non può cambiare il colore della sua pelle e come altrettanto una tigre non può modificare il suo manto striato, così loro, abituati al male, sono incapaci a fare il bene, perciò “li disperderò come stoppia portata via dal vento del deserto” (v.24).

Israele e Giuda con Gerusalemme non cambiarono condotta, bensì continuarono nelle loro perversioni idolatre, lasciarono la diritta via della giustizia, perché cedettero alle bugie ed inganni di Satana, a tal proposito Gesù riferì ai Giudei: “Voi siete dal diavolo, che è vostro padre, e volete fare i desiderî del padre vostro; egli fu omicida fin dal principio e non è rimasto fermo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, parla del suo perché è bugiardo e padre della menzogna. A me invece, perché vi dico la verità, voi non credete” (Gv.8:44,45).

“Questa è la tua sorte, la parte che ho misurato per te-, dice l’Eterno, -perché mi hai dimenticato e hai confidato nella menzogna” (v.25).

Non si convertirono, perché in mezzo a loro regnava la dissolutezza e le abominazioni di tutte le loro idolatrie e “Guai a te, o Gerusalemme! Per quanto tempo rimarrai ancora immonda?” (v.27), perché anche Gerusalemme, per le loro iniquità, fu contaminata e lo sarà fino alla fine, quando Dio toglierà il peccato da tutte le nazioni della terra. Questo avverrà al termine delle settanta settimane, quando si concluderà ogni profezia e visione e verrà unto di nuovo il luogo santissimo (Dan.9:24).

Capitolo 14.

“La parola dell’Eterno che fu rivolta a Geremia in occasione della siccità” (v.1).

Dio decretò su Giuda e su Gerusalemme una grande siccità, dopo la cattività babilonese; il popolo cominciò a ricostruirsi le proprie case ed a mettere da parte i loro guadagni, lasciando in rovina il tempio di Dio, come il profeta Aggeo proclamò: “Perciò sopra di voi il cielo ha trattenuto la rugiada e la terra ha ritenuto il suo prodotto. E io ho chiamato la siccità sul paese, sui monti, sul grano, sul mosto, sull’olio e su tutto ciò che il suolo produce, sugli uomini, sul bestiame e su tutto il lavoro delle vostre mani” (Agg.1:11).

Non ci fu acqua nelle cisterne, né erba per il bestiame ed i viveri vennero meno. In questa situazione Dio, tramite il profeta, riprende il popolo: “Vi aspettavate molto, ma in realtà c’è stato poco; quando poi l’avete portato a casa, io l’ho soffiato via. Perché?-, dice l’Eterno degli eserciti. -a motivo del mio tempio che giace in rovina, mentre ognuno di voi corre alla propria casa.” (Agg.1:9).

Quando il popolo si ribellava all’Eterno, venivano puniti ma quando si trovavano nell’angoscia, riconoscevano il peccato e gridavano: “O Eterno, anche se le nostre iniquità testimoniano contro di noi, opera per amor del tuo nome, poiché le nostre ribellioni sono molte; abbiamo peccato contro di te” (v.7).

Neemia supplica Dio per il popolo, esponendo tutta la sua condotta iniqua: “Perciò tu li desti nelle mani dei loro nemici, che li oppressero; ma al tempo della loro sventura essi gridarono a te, e tu li ascoltasti dal cielo e, nella tua grande misericordia, tu desti loro dei liberatori, che li salvarono dalle mani dei loro nemici. Quando però avevano riposo, essi ricominciavano a compiere il male davanti a te; perciò tu li abbandonavi nelle mani dei loro nemici, che li dominavano; tuttavia, quando tornavano a gridare a te, tu li ascoltavi dal cielo; così nella tua misericordia molte volte li hai liberati” (Neemia 9:27,28).

Il popolo di Dio è stato sempre ribelle e, quando passava il tempo dell’avversità, non ricordavano più quanto erano stati puniti per le loro malvagità e ricominciavano a fare il male. Dio perciò prescrive a Geremia di non pregare per il benessere del popolo, perché Egli non avrebbe risposto. Dio non li accettava più, anzi aveva determinato per loro lo sterminio, “Anche se digiunano non ascolterò il loro grido; se fanno olocausti e offerte di cibo non li gradirò; ma li sterminerò con la spada, con la fame e con la peste” (v.12).

Il popolo di Israele scelse la menzogna alla verità, come anche oggi sta avvenendo, perché in generale, l’uomo preferisce sentirsi elogiare, in positivo e difficilmente riconosce la falsità o ammette di aver sbagliato, perché si possa ravvedere dall’errore.

Il popolo di Dio preferì la bugia, ascoltando i falsi profeti, che preannunciavano pace, sicurezza e che non ci sarebbe stata la fame, né la spada, al contrario della realtà, come “L’Eterno mi disse: -I profeti profetizzano menzogne nel mio nome; io non li ho mandati, non ho dato loro alcun ordine e non ho parlato loro. Essi vi profetizzano una visione falsa, una divinazione vana e l’inganno del loro cuore” (v.14).

Dio conferma che quei profeti saranno consumati proprio dalla fame e dalla spada e, riguardo al popolo che ha creduto a loro, moriranno per le strade di Gerusalemme, insieme alle loro mogli e figli e nessuno li sotterrerà. La loro malvagità sarà riversata su se stessi.

Dio non risparmiò alcuno, dal sacerdote al profeta furono completamente confusi.

Comunque in ogni tempo, Dio ha preservato sempre un residuo, composto da quelli che non si sono mai contaminati con idoli, come lo furono ai tempi di Elia (1Re19:18) e come sono presenti anche oggi, secondo l’affermazione dell’apostolo Paolo ai Romani: “Così dunque, anche nel tempo presente è stato lasciato un residuo secondo l’elezione della grazia” (Rom.11:5).

Quelli che sperano in Dio, aspettano la salvezza, riconoscendo tutte le Sue opere meravigliose e come allora dichiararono: “O Signore, noi riconosciamo la nostra malvagità e l’iniquità dei nostri padri; si, abbiamo peccato contro di te. Non rigettarci per amore del tuo nome, non disonorare il trono della tua gloria. Ricordati: non rompere il tuo patto con noi” (v.20,21).

Capitolo 15.

La decisione che l’Eterno programmò per il suo popolo ribelle, mostra la sua indignazione, che non avrà più compassione di loro, dichiarando al profeta Geremia:      “Poi il Signore mi disse: Avvegnachè Mosè e Samuele si presentassero davanti alla mia faccia, l’anima mia non sarebbe però inverso questo popolo; manda

[li] fuori della mia presenza, ed escansene fuori” (v.1,vers.Diodati), “Ma L’Eterno mi disse: -Anche se Mosè e Samuele si presentassero davanti a me, il mio cuore non si piegherebbe verso questo popolo; caccialo via dalla mia presenza; che se ne vada!” (v.1, vers.Nuova Diodati).

Si compì infine la profezia nel 70 d.C., quando Dio destinò il popolo all’esilio delle sessantadue settimane descritte dal profeta Daniele, durato circa 1878 anni (iniziato nel 70 d.C. e terminate nel 1948). L’ultimo esilio fu per Israele il più tragico, perché tutti i sopravvissuti fuggirono dalla loro terra e si dispersero come ai quattro venti del cielo, mentre tutti gli altri morirono durante l’assedio di fame, di peste e di spada (Ez.6:12). Nessun ebreo rimase nella sua terra, perché fu vietato ai superstiti di ritornarvi. “Se poi ti dovessero dire: -Dove andremo?-, dirai loro: -Così dice l’Eterno: Alla morte i destinati alla morte, alla spada i destinati alla spada, alla fame i destinati alla fame, alla cattività i destinati alla cattività” (v.2).

La diaspora (dispersione degli ebrei tra le nazioni) fu predetta dai profeti molti secoli prima che accadesse. Notate con quanta precisione gli avvenimenti vengono enunciati ai profeti, altrettanto con puntualità si sono adempiute e si avvereranno, perché Dio ha stabilito un tempo per ogni avvenimento profetico.

Dio conosceva già che il suo popolo rifiutava il Cristo, tramite il quale potevano ricevere la Grazia ed essere nuovamente riconciliati con Dio. Angoscia e terrore sono stabilite per Israele già circa 600 anni prima che accadessero, perché di certo essi non amano l’umiltà e la rettitudine.

Prima della diaspora, in Israele furono sterminati tre pastori o conduttori, i quali pensavano solo al proprio interesse e non conoscevano il significato di essere sazi (Is.56:11; Mt.23:13).

Gesù vide quanta corruzione vi era nei conduttori di Israele, quelli che dovevano guidare il popolo alla verità, invece li sviavano. Israele non riconobbe il Messia, il loro Salvatore, lo respinse perciò gli ebrei superstiti furono sparsi tra tutti i regni della terra e, per tutto il tempo del loro esilio, furono perseguitati, maltrattati e molti di loro vennero uccisi, “Li farò essere maltrattati per tutti i regni della terra a causa di Manasse, figlio di Ezechia, re di Giuda, per ciò che ha fatto in Gerusalemme” (v.4).

Il residuo che rimase in vita fu disperso come espongono le profezie ai quattro venti (tra le nazioni nemiche d’Israele) e non si ravvidero ma continuarono nel loro peccato adorando gli idoli delle nazioni e non ritornarono a Dio, “Li disperderò col ventilabro alle porte del paese, li priverò di figli e farò perire il mio popolo, perché non si convertono dalle loro vie” (v.7).

Tutte le ricchezze di Gerusalemme furono portate via dai loro nemici, come pure i loro raccolti, tanto che i superstiti si trovarono senza cibo, né acqua in nazioni nemiche, come evidenziato: “La tua ricchezza e i tuoi tesori li abbandonerò al saccheggio senza alcun prezzo per tutti i tuoi peccati e in tutti i tuoi confini” (v.13).

Il popolo ebreo si macchiò di un gravissimo peccato, non riconoscendo Gesù come loro Salvatore e Re, condannandolo a morte: “E tutto il popolo, rispondendo, disse: -Sia il suo sangue sopra di noi e sopra i nostri figli-” (Mt.27:25).

Così fu per tutto il tempo dell’esilio (62 settimane, circa 1878 anni), terminato nel 1948, dopo lo sterminio di circa sei milioni di ebrei.

Dio scelse solo un residuo e li fece ritornare nella propria terra, nel nuovo Stato d’Israele, “Poiché, anche se il tuo popolo, o Israele, fosse come la sabbia del mare, solo un suo residuo tornerà; lo sterminio decretato farà traboccare la giustizia” (Is.10:22).

“La tua ricchezza e i tuoi tesori li abbandonerò al saccheggio senza alcun prezzo per tutti i tuoi peccati e in tutti i tuoi confini” (v.13).

Tutto il loro raccolto passò nelle mani dei loro nemici e loro si trovarono tra le nazioni privati di ogni bene, perchè le colpe del popolo ebreo furono grandi e Dio si adirò contro di loro. Li disperse tra le nazioni gentili, nei paesi che non conoscevano; furono afflitti fino al 1948, termine dell’esilio per Israele.

Dio abbandonò il suo popolo, ma non per sempre, perché determinò 62 settimane di cattività, al cui termine gli restituì la loro terra, quella che gli aveva dato in promessa ad Abramo, Isacco e Giacobbe (Es.2:24), “L’Eterno dice: -Certamente ti libererò per sempre, certamente farò sì che il nemico ti supplichi nel tempo dell’avversità e nel tempo dell’angoscia” (v.11).

Il residuo di Israele sarà una benedizione per tutta la terra, durante il millennio ed i popoli gentili, che nel passato li hanno detestati, compresi i musulmani li serviranno (Is.60:12,14) e si prostreranno davanti a loro. E’ stato decretato che “I re saranno i tuoi padri adottivi e le loro regine saranno le tue nutrici; essi si prostreranno davanti a te con la faccia a terra e leccheranno la polvere dei tuoi piedi; così saprai che io sono l’Eterno e che coloro che sperano in me non saranno svergognati” (Is.49:23).

Sono passati circa 62 anni dalla ricostituzione dello Stato ebraico e in Israele oggi vive il residuo santo, coloro che daranno la vita per la verità, durante la grande tribolazione, i 144 mila e coloro che abiteranno la terra nel glorioso millennio.

Il profeta Geremia nel suo dolore e afflizione invoca l’Eterno: “Tu lo sai, o Eterno; ricordati di me e visitami, e vendicami dei miei persecutori; nella lentezza della tua ira, non portarmi via; sappi che per amor tuo ho portato l’obbrobrio” (v.15).

Geremia si lamentava nella sua amarezza, soffriva nell’anima e nel corpo vedendo il male che Dio aveva determinato per il suo popolo a causa del peccato del popolo e dichiarò davanti all’Eterno la sua condotta: come egli aveva divorato la sua Parola e la gioia che aveva procurato al suo cuore, mentre ora sedeva solitario con la sua piaga incurabile, perché era riempito di dolore.

Dio rassicura il profeta affermando che se tornasse a Lui, lo ristabilirebbe, aggiungendo che i suoi persecutori devono ascoltare la parola del profeta e non il contrario, perciò riferisce: “…tu starai davanti a me. Se tu separi il prezioso dal vile, tu sarai come la mia bocca; essi ritorneranno a te, ma tu non devi ritornare a loro” (v.19).

Dio aveva pronunciato al profeta: “Ecco, oggi io faccio di te una città fortificata, una colonna di ferro e un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda, contro i suoi principi, contro i suoi sacerdoti e contro il popolo del paese. Essi combatteranno contro di te ma non ti vinceranno, perché io sono con te per liberarti, dice l’Eterno” (Ger.1:18,19).

Geremia, nell’angoscia dell’anima, aveva trascurato la promessa che Dio gli aveva fatto e perciò Egli riconferma al profeta: “-Io ti renderò per questo popolo un forte muro di bronzo; combatteranno contro di te, ma non potranno vincerti, perché io sarò con te per salvarti e per liberarti-, dice l’Eterno. -Ti libererò dalla mano dei malvagi e ti riscatterò dalla mano dei violenti” (v.20).

Capitolo 16.

Questo passo espone, in modo evocativo, quanto si è già verificato con la diaspora degli ebrei, per i superstiti del 70 d.C.

Dio parlò sempre in similitudini ai profeti, ma in questo caso ordina al profeta di agire in testimonianza di ciò che sarebbe accaduto in Gerusalemme. L’ordine fu di non prendere moglie e di non avere dei figli in Israele, perché il popolo morirà di una morte dolorosa. Nessuno seppellirà i propri morti, perchè neppure uno rimarrà in Israele; non si verseranno lacrime per i decessi e non ci sarà lutto, “Essi moriranno di morti atroci; non saranno rimpianti né sepolti, ma saranno lasciati come letame sulla superficie del suolo; saranno sterminati dalla spada e dalla fame, e i loro cadaveri saranno pasto per gli uccelli del cielo e per le bestie della terra” (v.4).

Dio ritirò dal suo popolo la pace, la benignità e la misericordia, così il residuo vivente fu disperso tra le nazioni. I cadaveri di coloro che furono destinati alla morte, rimasero senza sepoltura e nessuno li rimpianse, perché in Israele non rimase neppure un ebreo, “Poiché così dice l’Eterno: -Non entrare nella casa del lutto e non andare a far cordoglio e a piangerli, perché io ho ritirato da questo popolo la mia pace, la mia benignità e la mia compassione-, dice l’Eterno” (v.5).

Dio annunciò tramite i profeti molto tempo prima che accadesse la grande calamità e dichiarò se il popolo avesse chiesto il motivo della grande ira dell’Eterno, dichiarare l’abbandono di Dio e delle sue leggi da parte dei loro padri, che si prostrarono ad altri déi, servendoli ed adorandoli. Aggiunge, rivolgendosi ai presenti: “E voi avete fatto peggio dei vostri padri, perché ecco, ciascuno cammina seguendo la caparbietà del suo cuore malvagio e rifiuta di ascoltarmi. Perciò io vi scaccerò da questo paese in un paese che né voi né i vostri padri avete conosciuto e là servirete altri déi giorno e notte, perché io non vi farò grazia-” (v.12,13).

Dio stabilì di ritirare da loro la sua grazia e di cacciarli dal loro paese, mandandoli in altri paesi, che non conoscevano, perché continuassero a servire altri dèi tra i popoli stranieri.

Certamente Dio non li ha rigettati per sempre, perché Dio salverà il suo popolo, quelli scritti nel libro (Dan.12:1; Is.4:3) negli ultimi sette anni. Ai santi che saranno trovati scritti nel libro, Dio aprirà i loro occhi e orecchi spirituali, capiranno tutte le profezie che i due testimoni, chiamati due ulivi (Zac.4:3; Apoc.11:4), ricorderanno al popolo. Essi quindi crederanno in Cristo Gesù, Figlio di Dio e riconosceranno tutto il male fatto dai loro padri e da loro stessi. In quel tempo un residuo tornerà all’Eterno ed essi non si ricorderanno più l’uscita del popolo di Dio dall’Egitto, ma si proclamerà: “-Per l’Eterno vivente che ha fatto uscire i figli d’Israele dal paese del nord e da tutti i paesi dove li aveva dispersi-. E io li ricondurrò nel loro paese che avevo dato ai loro padri” (v.15).

Da evidenziare due rientri in patria, per gli ebrei: uno è già avvenuto nel 1948 spontaneamente, quando tutti gli ebrei che desiderarono rientrare nella loro terra, lo poterono fare, per concessione dell’ONU; mentre il secondo si realizzerà negli ultimi sette anni, prima del millennio. A differenza del precedente, quest’ultimo rientro sarà invece obbligatorio, perché saranno cercati in ogni luogo, li cacceranno, costringendoli a ritornare in Israele (Is.66:20)

Un popolo scelto come eredità dell’Eterno, si è comportato peggio dei popoli gentili, così, nella terra di Israele, essi saranno giudicati per tutte le abominazioni idolatre, che avranno commesso loro ed i loro padri, fino a quel momento: “Prima di tutto li ripagherò doppiamente per la loro iniquità e il loro peccato, perché hanno profanato il mio paese con i cadaveri dei loro idoli esecrandi e hanno riempito la mia eredità con le loro abominazioni” (v.18).

DIO farà vendetta di tutti gli empi nelle due guerre. Nella prima, chiamata di Armagheddon, antecedente il millennio, sterminerà gli empi con la spada mentre in quella di Gog e Magog, al termine del millennio, saranno consumati dal fuoco che cadrà dal cielo (Apoc.20:9), “Poiché l’Eterno farà giustizia con il fuoco e con la sua spada contro ogni carne; e gli uccisi dall’Eterno saranno molti” (Is.66:16).

Seguirà poi il giudizio finale.

Avverrà che nel giorno dell’ira di Dio, nel primo giudizio (guerra di Armagheddon) un residuo delle nazioni gentili, da ogni parte delle estremità della terra, riconosceranno l’Eterno e ripopoleranno le nazioni anche loro andranno ad adorare in Gerusalemme, perché loro si renderanno conto delle iniquità “…e diranno: -I nostri padri hanno ereditato soltanto menzogne, vanità e cose che non giovano a nulla-” (v.19).

Negli ultimi anni ed all’inizio del millennio, Dio mostrerà la sua gloria e la sua potenza, in tal modo tutti sapranno che Dio è l’Eterno, “Perciò ecco, questa volta farò loro conoscere, mostrerò loro la mia mano e la mia potenza; ed essi sapranno che il mio nome è l’Eterno” (v.21).

Capitolo 17.

Dio precisa che Il peccato di Giuda è indelebile: “Il peccato di Giuda è scritto con uno stilo di ferro, è inciso con una punta di diamante sulla tavola del loro cuore e sui corni dei vostri altari” (v.1).

Il rammarico dell’Eterno è per la montagna che Egli si scelse: Sion, monte della mia santità”. Quando il grande peccato di idolatria arrivò al colmo, tutto fu abbandonato al saccheggio. Infatti il re Nebukadnetsar depredò tutti i tesori e distrusse la casa che Salomone aveva edificato e santificato all’Eterno in Gerusalemme e diede alle fiamme la città. Molti ebrei morirono di fame e di spada, mentre i sopravvissuti furono condotti in cattività, come servì dei babilonesi per settanta anni. L’ira di Dio si accese contro Giuda e Gerusalemme, perché non vollero ascoltare i suo messaggeri: “…ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti, finché l’ira dell’Eterno contro il suo popolo raggiunse un punto in cui non c’era più rimedio” (2 Cron.36:16).

L’uomo tende a confidare nel suo simile, a prendere esempio da altri come modello di vita, arrivando perfino ad adorare ed a venerare persone ritenute sante. come deliberato dalla chiesa ufficiale, dispensatrice di corone (Is.23:8). A tal proposito, Dio chiarisce che chiunque si affida ad un altro uomo è maledetto: “Così dice l’Eterno: Maledetto l’uomo che confida nell’uomo e fa della carne il suo braccio, e il cui cuore si allontana dall’Eterno!“ (v.5). Egli non vedrà certamente il bene, ma beato è l’uomo che confida nell’Eterno “…e la cui fiducia è l’Eterno” (v.7), perché “Egli sarà come un albero piantato presso l’acqua, che distende le sue radici lungo il fiume. Non si accorgerà quando viene il caldo e le sue foglie rimarranno verdi; nell’anno di siccità non avrà alcuna preoccupazione e non cesserà di portare frutto” (v.8).

Arriverà il giorno decretato, quando devastazione e morte colpiranno l’umanità, perché dalla terra sarà tolto lo Spirito Santo, l’anno della siccità. Per il residuo che ha confidato nell’Eterno ci sarà gran pace e giustizia, possederanno la terra (Israele) durante il millennio: “Ma i mansueti possederanno la terra e godranno di una grande pace” (Slm.37:11).

Dio è colui che investiga i cuori e rende a ciascuno secondo il frutto delle proprie azioni, avvertendo che: “Il cuore è ingannevole più di ogni altra cosa e insanabilmente malato; chi lo può conoscere?” (v.9).

La profezia segnala che chiunque acquista ricchezze in modo ingiusto, dovrà lasciarle nel bel mezzo della sua vita e quindi sarà giudicato come uno stolto.

“O Eterno, speranza d’Israele, tutti quelli che ti abbandonano saranno svergognati. -Quelli che si allontanano da me saranno scritti in terra, perché hanno abbandonato l’Eterno, la sorgente d’acqua viva” (v.13)Dio riprenderà a trattare con il suo popolo negli ultimi sette anni, prima della fine degli empi, che saranno come scritti sulla polvere e un forte vento, la guerra di Armagheddon, li cancellerà tutti dalla faccia della terra e di loro nessuno più si ricorderà in eterno.

Di nuovo Geremia, nella sua afflizione, invoca l’Eterno, chiedendo soccorso, guarigione e che i suoi schernitori siano svergognati, reclamando per loro invoca una doppia distruzione, “Guariscimi, o Eterno, e sarò guarito, salvami e sarò salvato, perché tu sei la mia lode. Ecco, essi mi dicono: “Dov’è la parola dell’Eterno? Si compia ora!-. Io tuttavia non ho rifiutato di esser loro pastore seguendo te né ho desiderato il giorno funesto. Tu conosci ciò che è uscito dalla mia bocca, perché veniva dalla tua presenza” (v.15,16).

La tribù di Giuda non si santificava più il sabato e facevano lavori di ogni genere, come in un qualsiasi altro giorno. Per questo motivo, l’Eterno ordina a Geremia di informare il popolo e il re di Giuda presso tutte le porte di Gerusalemme: “…Ascoltate la parola dell’Eterno, o re di Giuda, e tutto Giuda e voi tutti abitanti di Gerusalemme, che entrate per queste porte- Così dice l’Eterno: -Badate a voi stessi e non portate alcun peso né fatelo entrare per le porte di Gerusalemme in giorno di sabato. Non portate alcun peso fuori delle vostre case né fate alcun lavoro in giorno di sabato, ma santificate il giorno di sabato, come io ho comandato ai vostri padri” (v.20-22).

Il popolo non ascoltò, anzi essi indurirono il loro collo per non accettare il consiglio. Dio ancora ribadì l’ammonimento al popolo, ai re ed ai principi di Gerusalemme, esponendo le benedizioni che avrebbero ricevuto, se avessero ubbidito all’Eterno e non avessero fatto alcun lavoro nel giorno di sabato.

Nel millennio avverrà che “Verranno quindi dalle città di Giuda, dai dintorni di Gerusalemme, dal paese di Beniamino, dal bassopiano, dai monti e dal Neghev, portando olocausti, sacrifici, oblazioni di cibo e incenso e offrendo sacrifici di rendimento di grazie nella casa dell’ Eterno” (v.26).

Capitolo 18.

Una forte esortazione indirizzata al popolo, è presentata direttamente al profeta, attraverso un paragone educativo e dimostrativo.

L’Eterno invitò il profeta ad andare nella casa del vasaio, perché in quel posto gli avrebbe fatto udire la Sua parola. Geremia ubbidì e giunse dal vasaio quando egli stava modellando un contenitore sulla ruota. All’improvviso il recipiente di argilla si deformò nelle sue mani ed egli ricominciò a farne un altro, secondo il suo desiderio. “Allora la parola dell’Eterno mi fu rivolta, dicendo: -O casa d’Israele, non posso io fare con voi come ha fatto questo vasaio?- dice l’Eterno. -Ecco, come l’argilla è nelle mani del vasaio, così siete voi nelle mie mani, o casa d’Israele! “ (v.6).

Dio svela al profeta che talvolta Egli annuncia di abbattere o distruggere un regno od una nazione per la sua ostinazione alla malvagità, ma se alla sua minaccia si convertisse, il male stabilito verrebbe ritirato come avvenne per la città di Ninive, i cui abitanti si convertirono dalla loro malvagità e Dio ritirò tutto il male che aveva annunciato (Giona 3:10). Al contrario, anche quando Dio proclami di edificare e di benedire delle persone, ma esse si comportano male, rifiutando di ascoltare la Sua parola di ammonimento, Dio annulla il bene che aveva promesso.

Riguardo a Giuda ed a Gerusalemme: “Ecco, io concepisco contro di voi del male e formo contro di voi un disegno. Si converta ora ciascun di voi dalla sua via malvagia, ed emendate le vostre vie e le vostre azioni!” (v.11)Al suggerimento divino, il popolo replicò: “E’ inutile; noi vogliamo camminare seguendo i nostri propri pensieri e vogliamo agire ciascuno secondo la caparbietà del proprio cuore malvagio” (v.12). Ad una tale decisione, Dio chiede chi abbia fatto una cosa simile, tra le nazioni, perché la “vergine d’Israele” ha compiuto cose orrende.

Il termine “vergine” (Lam.1:15) si riferisce alla città di Gerusalemme della tribù di Giuda, scelta per la discendenza del Messia, anche se si comportò in modo scellerato.

Come la neve non può scomparire dai monti del Libano e le freddi acque correnti non si possono arrestare, così il popolo di Dio non si fermò di offrire incenso ad idoli stranieri, perché si dimenticò di seguire le leggi divine e perciò inciampò e cadde nelle sue vie malvagie, anziché camminare sulla via maestra della rettitudine.

Gerusalemme diventò un paese desolato e deriso da tutti i passanti, perché Dio lo abbandonò al saccheggio e al fuoco, disperdendo gli abitanti rimasti in vita: “Io li disperderò davanti al nemico come fa il vento orientale. Nel giorno della loro calamità io mostrerò loro le spalle e non la faccia” (v.17).

Invece di ascoltare il rimprovero, il popolo ideò una congiura contro Geremia: “…Venite, colpiamolo con la lingua e non prestiamo attenzione ad alcuna delle sue parole” (v.18)Il profeta invoca quindi l’Eterno: “Prestami attenzione, o Eterno, e ascolta la voce di quelli che contendono con me. Si rende forse male per bene? Poiché essi hanno scavato una fossa alla mia vita. Ricorda che mi sono presentato davanti a te per parlare in loro favore e per allontanare da loro l’ira tua” (v.19,20).

Molte volte il profeta, come già abbiamo commentato in altri capitoli, si trovò angosciato e con una forte oppressione, perché era perseguitato dal popolo che seguiva i consigli dei falsi profeti annuncianti, nel nome di Dio, la pace; mentre per Giuda e per Gerusalemme era ormai decretato il male. Geremia rivolge perciò a Dio una richiesta contro il popolo, “Perciò abbandona i loro figli alla fame e dalli in potere della spada; siano le loro mogli private di figli e vedove, i loro mariti siano feriti a morte; i loro giovani siano uccisi di spada in battaglia” (v.21).

Dio conosceva completamente i pensieri e le intenzioni del popolo contro Geremia.

Da notare nel profeta due atteggiamenti opposti, intervallati dalla reazione violenta del popolo nei suoi confronti, che ha potuto modificare il suo pensiero, perché si concentrò sulla sua persona, sentendosi minacciato, anziché continuare ancora a confidare in Dio.

Questo episodio particolare, come tanti altri accaduti ad Elia, sia per noi di insegnamento e di incoraggiamento a confidare sempre in Gesù, specialmente quando attraversiamo momenti difficili nella nostra vita, sicuri di uscire vittoriosi e più forti di prima, nella fede.

Infatti Geremia prima pregò in favore del popolo, chiedendo a Dio di allontanare la sua ira da loro, poi invece implorò Dio di non risparmiarli nel giorno della sua ira: “Ma tu, o Eterno, conosci tutti i loro disegni contro di me per farmi morire; non perdonare la loro iniquità, non cancellare il loro peccato dalla tua presenza. Siano essi rovesciati davanti a te. Trattali duramente nel giorno della tua ira” (v.23).

Geremia fu poi catturato, legato con catene e gettato in una cisterna senza acqua, ma contenente solo residuo di fango.

Capitolo 19.

L’oracolo espone qui alcuni avvenimenti.

Dio comunica al profeta di comprare una brocca di terracotta, di accompagnare dei sacerdoti e degli anziani del popolo verso la valle di Hinnom, presso la Porta del coccio e pronunciare in quel luogo la sua parola: “Dirai così: -Ascoltate la parola dell’Eterno, o re di Giuda e abitanti di Gerusalemme. Così dice l’Eterno degli eserciti, il Dio d’Israele: Ecco, io farò venire sopra questo luogo una calamità tale che farà rintronare gli orecchi di chiunque l’udrà” (v.3).

Il popolo aveva abbandonato l’Eterno e si era dato all’idolatria, bruciando incenso ad altri dèi e versando del sangue innocente, perciò era stato decretato una grande sciagura per Guida e Gerusalemme, “hanno edificato gli alti luoghi a Baal per bruciare nel fuoco i loro figli in olocausto a Baal, cosa che non avevo comandato, di cui non avevo mai parlato e che non mi era mai venuta in mente” (v.5).

I versi sei e sette sono riferiti alla guerra detta di Armagheddon (Apoc.16:16), che si terrà proprio nel luogo in cui gli ebrei sacrificavano i loro figli a Baal, Tofeh o “Valle del figlio di Hinnom”, che sarà invece chiamato “Valle del massacro” o Valle di Giosafat (Gioele 3).

In sintesi, Israele subì l’assedio dagli Assiri.

In seguito Giuda con Gerusalemme furono prese dal re Nebukadnetsar e gli abitanti furono deportati in Babilonia, dove rimasero in cattività per settanta anni. Altro esilio di sessantadue settimane accadde sotto il dominio dell’Impero Romano, che nel 70 d.C. distrusse anche il tempio di Dio in Gerusalemme, disperdendo i sopravvissuti, che tornarono a possedere la loro terra dal 1948.

Già Mosè avvertì il popolo che se non avessero ubbidito e non avessero ascoltato l’Eterno, sarebbe giunta l’ira di Dio (Deut.28:15,53), continuò in seguito a metterli al corrente, tramite tutti i suoi servi profeti, del loro peccato, invitandoli a ravvedersi e di ritornare all’Eterno, perché avrebbe mandato loro del male, come è evidenziato: “Farò loro mangiare la carne dei loro figli e la carne delle loro figlie e mangeranno la carne gli uni degli altri durante l’assedio e la strettezze in cui li stringeranno i loro nemici e quelli che cercano la loro vita” (v.9).

Dio ordinò al profeta di spezzare la brocca “…in presenza di quegli uomini che saranno venuti con te e dirai loro: -Così dice l’Eterno degli eserciti: -Così spezzerò questo popolo e questa città, come si spezza un vaso di terracotta, che non si può più riparare; allora seppelliranno i morti in Tofet, perché non ci sarà più posto per seppellire” (v.11).

Dio rese Giuda e Gerusalemme, per mano del re Nebukadnetsar, come sarà Tofet o valle del Massacro alla fine del regno della bestia (il dragone, Satana con un corpo umano).

Gli abitanti di Giuda e di Gerusalemme adoravano idoli, bruciando incenso agli eserciti del cielo (tutto il firmamento Deut.17:3); per questo motivo i sopravvissuti furono mandati in esilio in Babilonia per settanta anni.

Geremia tornò indietro da Tofet e si fermò nel cortile della casa dell’Eterno, esponendo al popolo la parola profetica: “Così dice l’Eterno degli eserciti, il Dio d’Israele: Ecco, io faccio venire su questa città e su tutte le borgate tutto il male che ho pronunciato contro di lei, perché hanno indurito la loro cervice per non dare ascolto alle mie parole” (v.15).

(continua)