Gesù espose questa parabola: “…Un uomo di nobile stirpe partì per un paese lontano per ricevere un titolo regale e poi ritornare. Chiamati dieci servi, consegnò loro dieci mine, dicendo: Impiegatele fino al mio ritorno. Ma i suoi cittadini lo odiavano e gli mandarono dietro un’ambasceria a dire: -Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi-” (Lc.19:12-14).

Gesù si paragona ad un uomo di stirpe reale, che partì da un paese lontano, ossia dai cieli per venire sulla terra. Prese forma umana e dette la sua vita in sacrificio e, alla fine, ricevette il titolo regale (Figlio di Dio, Lc.1:35; Re dei Giudei, Mt.2:2; Re dei re e il Signore dei signori, Ap.17:14).

I Giudei (suoi cittadini, Gv.1:11) lo odiarono fino a farlo morire sulla croce, rinnegandolo come loro Re (Gv.19:21).

In Israele, Dio aveva posto dei giudici, che ascoltavano i quesiti del popolo e giudicavano secondo giustizia: “Ma quando il giudice moriva, tornavano a corrompersi più dei loro padri, andando dietro ad altri dei per servirli e prostrarsi davanti a loro; e non desistevano affatto dalle loro opere e dalla loro condotta ostinata” (Gdc.2:19).

Gli Israeliti, conservatori della Legge divina, erano del continuo ribelli a Dio, come quando chiesero un re al profeta Samuele: “E l’Eterno disse a Samuele: -Ascolta la voce del popolo in tutto ciò che ti dice, poiché essi non hanno rigettato te, ma hanno rigettato me, perché io non regni su di loro-” (1Sam.8:7).

Ai tempi del profeta Samuele, il popolo, volendo assomigliare ai popoli pagani e adorare i loro idoli, chiesero un re, che regnasse su di loro e Dio diede loro il re Saul (At.13:21), poi Davide e Salomone. Dopo di lui, molti dei re di Giuda e d’Israele indussero il popolo all’idolatria, così Dio li punì, dandoli nelle mani dei popoli vicini. I loro nemici li opprimevano fino al punto che loro si pentivano e chiedevano soccorso e Dio li ascoltava: “Quando però avevano riposo, essi ricominciavano a compiere il male davanti a te; perciò tu li abbandonavi nelle mani dei loro nemici, che li dominavano; tuttavia, quando tornavano a gridare a te, tu li ascoltavi dal cielo; così nella tua misericordia molte volte li hai liberati” (Neem.9:28).

Tutto si è susseguito fino al compimento dei tempi, quando Dio mandò il Suo unigenito Figlio nel mondo, stabilito come RE d’Israele, prima della fondazione del mondo (Gv.1:49; 12:13; 17:24; 1Ptr.1:20).

Ai tempi dei Giudici, Israele rifiutò che Dio regnasse su di loro, così avvenne quando Egli mandò il suo unigenito Figlio nel mondo (Gv.3:18). I Giudei lo rifiutarono, negando Gesù come loro RE e perfino reagirono alla motivazione della condanna, che Pilato pose sulla sommità della croce: “…i Giudei dissero a Pilato: -Non scrivere: “Il re dei Giudei”, ma che egli ha detto: “Io sono il re dei Giudei-” (Gv.19:21).

I Giudei per prima e poi gli israeliti, rinnegarono Gesù, colmando la misura del loro peccato. Così dopo circa quaranta anni, dopo l’ascensione al cielo di Gesù, Dio li disperse sulla faccia di tutta la terra, togliendogli la terra santa, perché: “…voi rinnegaste il Santo, il Giusto, e chiedeste che vi fosse dato un assassino” (At.3:14).

Tutto quello che fu scritto dai profeti su Gesù, si compì. Così, terminata la sua missione terrena, il Signore ritornò al Padre (Gv.14:28).

La parabola indica che, a tutti quelli che credono in Lui, ha donato e dona dei talenti, dicendo: “Andate per tutto il mondo e predicate l’evangelo a ogni creatura” (Mrc.16:15).

Quando fu di ritorno, dopo aver ottenuto il titolo di re, fece chiamare i servi ai quali aveva consegnato il denaro, per vedere quanto ciascuno avesse guadagnato”.

Alla fine, quando il tempo della Grazia terminerà, Gesù tornerà e darà il premio, secondo il frutto acquisito con il talento donato. Infatti è scritto: “Ecco, io verrò presto e porterò con me il mio salario, per rendere a ciascuno secondo le sue opere” (Ap.22:12).

Alla fine: “Noi tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva la retribuzione delle cose fatte nel corpo in base a ciò che ha fatto, sia in bene che in male” (2Cor.5:10).

La parabola indica che si presentò il primo con dieci mine e gli fu detto: “Bene, bravo servitore; poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città”.

Anche il secondo, aveva fatto fruttare altre cinque e pure a lui fu assegnato il potere su cinque città. Venne poi il terzo “…E disse: Signore, ecco la tua mina, che ho tenuta riposta in un fazzoletto; avevo paura di te che sei un uomo severo e prendi quello che non hai messo in deposito, mieti quello che non hai seminato”. Gli fu risposto che, veniva giudicato secondo le sue parole, pur sapendo quello che Gesù desiderava. Lui non si era preoccupato di consegnare il danaro a una banca e “Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi”.

Gesù desidera impegno nel compiere la volontà di Dio da chi ha ricevuto la Grazia, insieme al talento, che è lo Spirito Santo, donato ai suoi figli ubbidienti, come caparra di tutto quello che riceveremo nei cieli. Dio concede i doni dello Spirito, che servono per l’edificazione della Sua Chiesa, per farli fruttare nel servizio e perfezionamento dei santi, così riceveremo il premio.

Occorre portare agli altri il messaggio di salvezza, la nostra testimonianza. In qualunque modo, tempo e fuori tempo, noi dobbiamo evangelizzare gli altri, come Dio ci ha dato da compiere ad ognuno di noi.

Se noi siamo esecutori e non solo uditori della Parola, porteremo molto frutto, chi “il cento, il sessanta, ed il trenta per uno” (Mt.13:8) e possiamo completare le opere, che ci sono state preparate, affinché le compiamo: “Noi infatti siamo opera sua, creati in Cristo Gesù per le buone opere che Dio ha precedentemente preparato, perché le compiamo” (Ef.2:10).

Guardiamo di non assomigliare a colui, che ha nascosto il talento e non lo ha fatto fruttare, per timore o per pigrizia, perché alla fine, non solo non riceviamo il premio, ma sarà detto: “Toglietegli la mina e datela a colui che ne ha dieci e Gli risposero: Signore, ha già dieci mine! Vi dico: A chiunque ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici che non volevano che diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me” (Lc.19:12-27).

A tutti quelli che hanno fatto fruttare il talento, sarà dato secondo le loro opere, se poche o molte, ma a chi ha ricevuto il talento e lo ha tenuto per sé, occultandolo, alla fine gli sarà tolto e sarà punito: “E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti” (Mt.25:30).

Da sempre si prediligono le tenebre alla luce, iniziando dalla creazione del mondo, quando l’essere umano preferì la disubbidienza a Dio, per seguire Satana.

Dio mandò il proprio Figlio per portare la salvezza, ma ancora i Giudei scelsero il peccato: “Ma voi rinnegaste il Santo, il Giusto, e chiedeste che vi fosse dato un assassino” (At.3:14).

Stessa cosa avviene oggi, alla fine dei tempi. Si privilegia le cose mondane a quelle spirituali: “Or lo Spirito dice espressamente che negli ultimi tempi alcuni apostateranno dalla fede, dando ascolto a spiriti seduttori e a dottrine di demoni” (1Tmt.4:1).

E’ un dovere cristiano condividere la Grazia nel trasmettere il messaggio di salvezza, che abbiamo ricevuto per fede nel Signore Gesù, nostro Salvatore, seguendo i suoi insegnamenti: “Dimorate in me e io dimorerò in voi; come il tralcio non può da sé portare frutto se non dimora nella vite, così neanche voi, se non dimorate in me. Io sono la vite, voi siete i tralci; chi dimora in me e io in lui, porta molto frutto, poiché senza di me non potete far nulla” (Gv.15:4,5).

In questo è glorificato il Padre mio, che portiate molto frutto, e così sarete miei discepoli” (Gv.15:8).