“Io non morrò, ma vivrò e racconterò le opere dell’Eterno”  (Salmo 118:17).

Era il 1991 quando mi recai in Francia nella città di Lione per sostenere un intervento in una clinica di neurochirurgia, a seguito di lussazione di vertebre cervicali, provocate da un incidente stradale con compressione del dente dell’epistrofeo sul midollo spinale e conseguente inizio di paresi agli arti superiori ed inferiori.
L’operazione, molto delicata, consisteva nell’eliminazione del dente dell’epistrofeo e la congiunzione delle due vertebre C1 e C2.
Fu assicurata la buona riuscita della degenza dal chirurgo.
Io non confidavo nelle affermazioni del medico, anche se erano rassicuranti, ma la mia sicurezza, che tutto sarebbe andato bene, derivava dall’affidarmi completamente a Dio.

Entrai alle dieci di mattina nella sala operatoria pregando e continuai fino a quando mi addormentai per effetto dell’anestesia. Quando mi svegliai, alle quattro del pomeriggio, stavo bene e subito ringraziai Dio per il suo aiuto, per il suo conforto e per come Lui stesso aveva operato in me.
Ero certa che Dio avesse guidato la mano del chirurgo, perciò tutto era riuscito perfettamente.
Le infermiere mi portarono in una stanza, ero sola e per questo mi raccomandarono di non muovermi, vista la mia curiosità di provare la riacquistata funzionalità.
Non avvertii alcun dolore insopportabile, ma mi sentivo solo stanca.
Dopo pochi giorni fui dimessa con l’avvertenza del dottore di ritornare un anno dopo, perché era necessario un secondo intervento di microchirurgia, ancora più critico del primo, assicurandomi ugualmente del buon esito.

Trascorso un anno mi ripresentai per sottopormi di nuovo alla fase successiva, con la convinzione che anche questa volta Dio mi avrebbe sostenuto come nel primo intervento.
Mi rivolsi a Dio in preghiera per la sua protezione, perché sentivo dentro di me una indefinita ed incomprensibile amarezza imputabile o attribuibile a qualche inconveniente che avrebbe potuto verificarsi durante il ricovero.
Affrontai la nuova operazione decidendo di rimettere la mia vita nelle mani del mio Signore e confidando in Lui esclamai: “sia fatta la tua volontà, Signore“, prima di addormentarmi.
Quando ripresi i sensi, un medico mi informò della buona esecuzione dell’operazione e della necessità di restare per una sola notte in sala di rianimazione.
Le mie condizioni fisiche erano gravi, avvertivo un forte dolore alla gola in corrispondenza della ferita, ancora sanguinante, per l’effettuazione per via transorale.
All’applicazione del boccaglio dell’ossigeno, anziché facilitarmi nella respirazione, mi provocava la formazione di muchi che, gonfiandomi, tendevano a soffocarmi.
Iniziai a togliermi la mascherina per respirare meglio, ma le infermiere continuavano a rimettermelo, secondo le disposizioni del dottore, fino al punto di legarmi le mani per impedire che lo togliessi.

Ricordo che dal momento in cui mi svegliai, non smisi mai di pregare.
Dopo alcune ore, passato l’effetto dell’anestesia, il dolore si fece molto intenso e oltre tutto dovevo cercare di respirare, liberandomi le mani per levare il tubo fastidioso dell’aria, senza farmi vedere dalle infermiere. Purtroppo quando si accorsero di questo inconveniente, cominciarono a farmi delle iniezioni sulle gambe. Le prime punture, ripetute ogni due ore circa, mi causavano un tremito per tutto il corpo, per stabilizzarsi dopo sulle gambe.
Continuamente pregavo per restare in contatto con il mio unico Salvatore, il solo che potesse fare qualcosa per me; ero completamente sola, nelle mani di quelle infermiere senza scrupolo e non controllate.

Ero in una situazione imbarazzante, in una clinica francese, senza conoscere una sola parola della loro lingua e in quella sala soltanto un’assistente comprendeva sufficientemente l’italiano però non era sempre presente, perché faceva dei turni.
Avvenne una cosa inspiegabile: all’improvviso fui in grado di capire il significato di un colloquio, sulla mia risposta alla terapia, fra gli operatori sanitari e, dai loro discorsi, intesi che mi stavano iniettando dosi di allucinogeni.
Con evidente sorpresa capii il rischio incombente e subito implorai Dio che quelle droghe divenissero come acqua per me.

Nonostante questo stato, il dolore si acuiva sempre di più e, ad un certo punto intorno alle tre di notte, stanca, con le forze che mi stavano venendo ancora meno, attenuai la mia resistenza a combattere contro la morte, sostenuta dalla convinzione e sicurezza data dalla costante preghiera di uscire viva da quel posto.
Fu allora che questa debolezza permise che alcuni pensieri negativi giungessero alla mia mente. Era il nemico numero uno della mia anima che sopraggiunse con lo scoraggiamento, facendomi vedere già deposta in una bara che mi stava trasportando in Italia, perfino immaginavo la disperazione di mia figlia.
Arrivò poi un perspicace suggerimento: di lasciarsi andare e disinteressarsi del dolore per smettere di soffrire. Lo sgomento e la prostrazione avevano preso il sopravvento, così mi abbandonai pian piano e dolcemente all’idea, notai che non mi affaticavo più per respirare; dopo qualche secondo udii il rallentamento dei battiti del cuore, scanditi e registrati dall’elettrocardiogramma a cui ero collegata.
Il loro ritmo continuava a diminuire sempre, nella stessa misura corrispondente al mio rilassamento, fino a percepirne l’assenza, segnalata dall’allarme acustico. Nello stesso istante avvertii una leggerezza immensa, avevo lasciato il mio corpo, non sentivo più alcun dolore e non ne rammentavo la sensazione.

Ero in un’altra dimensione come distaccata, tranquilla, non ricordavo alcuna cosa del passato, era come rinascere in quel momento, ero libera e non vincolata ad un corpo, come se fossi in spirito.
Mi trovavo nella stessa stanza, immersa in una luce uniforme e diffusa, senza alcun’ombra. I
n questo stato udivo solo alcune voci dal significato incomprensibile, fino a quando sentii chiaramente un forte grido di un’infermiera accorsa, che mi ordinava di respirare. Subito ricomparve improvvisamente lo stesso dolore, insieme al senso di soffocamento.
Mi resi conto immediatamente di quello che era successo e, ripensando allo scoraggiamento avuto, chiesi subito perdono a Dio di quello che avevo fatto, dubitando per un attimo della sicurezza di uscire da quella situazione, che avevo avuto prima.
Mi chiedevo che cosa mi avesse portato ad abbandonarmi, ascoltando il suggerimento di satana.

Superata questa prova, ripresi forza, facendomi coraggio, anche se la sofferenza era forte, acuta ed insopportabile.
Mi avevano avvertita che non dovevo addormentarmi per non rischiare il soffocamento, così la lotta contro la morte iniziò di nuovo, ma da questa esperienza avevo in più la certezza e la dimostrazione che Dio era con me e non mi aveva lasciata morire. Dovevo solo stare attenta a non offrire il minimo spazio al nemico nella mia mente con pensieri fuorvianti e questo lo potevo fare, solo se avessi continuato a pregare, senza mai stancarmi.

Passò la prima notte ed io aspettavo premurosa che mi togliessero da quella sala, ma quando il reparto sollecitò il mio trasferimento, le infermiere della rianimazione giustificarono il loro rifiuto esponendo il mio pessimo stato di salute.
Tutta la notte avevano continuato ad inocularmi le stesse sostanze e proseguirono anche la mattina.
Il pomeriggio venne mia figlia a visitarmi, indossando un camice sterile, le raccontai come avevo trascorso la notte, le mostrai i segni delle punture nelle gambe, mettendola al corrente del loro contenuto, poi la tranquillizzai ,dichiarandole un leggero miglioramento comprovando che riuscivo a respirare naturalmente senza bisogno del boccaglio ausiliario.
Durante la descrizione dettagliata delle mie condizioni non sapevo della presenza di quell’infermiera che conosceva poco la lingua italiana, ascoltando il mio resoconto e cominciò a turbarsi, preoccupandosi.
Non capivo cosa stava succedendo, perché le assistenti della sala non smisero di somministrarmi quelle droghe, nonostante che sapessero che io ne ero a conoscenza, il loro comportamento era strano nei miei confronti, le loro reazioni consistevano nell’incolparsi a vicenda, in vista del mio rientro in reparto e della mia prevedibile denuncia dei loro fatti, per non rischiare le gravi conseguenze.

Ancora una volta il nemico si presentò con lo scoraggiamento, suscitando dei pensieri del tipo che non ti manderanno fuori da qui, perché loro hanno paura che tu confessi, così ti faranno morire.
Questa volta però allontanai subito queste idee, confidando in Dio e precisando che il Signore non mi ha lasciata morire la notte precedente, mentre la stabiliva proprio adesso. Sgridai queste negatività nel nome di Gesù, dichiarando che satana è bugiardo e affermando con decisione che io uscivo viva da quel luogo.
Non sapevo il modo, ma ero convinta che si verificasse.

La notte seguente iniziai ad avere dei forti incubi ed ossessioni, come se i muri della stanza fossero diventati improvvisamente colorati, proiettandovi sopra delle macchie scure a forme irregolari strane ed ombre che si intrecciavano e si muovevano continuamente.
Ricordo che ad un certo punto non riuscii più a concentrarmi e, confusa, non pensando che ero stata operata, staccai l’ago della flebo dalla vena. Alla vista del sangue che usciva, chiamai l’infermiera che sistemò tutto in ordine, raccontandole dell’accaduto, dei colori e della confusione mentale che avvertivo. Corse subito a riferirlo all’altra collega.
Nel frattempo, stanca, mi addormentai fino alla mattina. Appena sveglia ascoltai la voce dell’interfono che chiedeva mie notizie dal reparto, informando di prepararmi perché mandavano a prendermi.
Notai la loro apprensione nel giustificare il fatto che non mi avevano lasciato andare prima in reparto, motivando la mia permanenza a causa dell’occorsa scarsa lucidità e pertanto ritenevano bisognosa ancora di sorveglianza.
A tal fine si avvicinò al mio letto una infermiera per indagare personalmente il mio stato confusionale se effettivo, reale o presunto, accertandolo con alcune domande di routine. Immediatamente capii il senso di quei quesiti particolari sul motivo per cui ero lì, sul giorno odierno della settimana ed altre interrogazioni per verificare il mio grado di vigilanza.

Dovevo salvarmi da quella trappola, da quei tormenti e vaneggiamenti della notte precedente, dalle droghe iniettate, così simulai che non ricordavo alcuna cosa del recente passato, della ragione per cui mi trovavo lì e cose simili, rispondendo vagamente perché mi sentivo strana.
La sorvegliante, soddisfatta, comunicò la sua valutazione alle compagne di lavoro, definendo che era tutto a posto, perché io non ricordavo quello che era successo, ma loro non furono persuase, così vennero insieme ad assicurarlo, ponendomi altre richieste cui replicai alla stessa maniera. Confermato il mio quadro clinico, chiamarono il reparto e disposero che ero pronta al passaggio.
Quando mi trovai in clinica, glorificai Dio intensamente per la sua salvezza, giunsero del personale sanitario per controllare quanto esposto dalla sezione di rianimazione cui provenivo.
Mi sottoposero alle stesse domande, meravigliandosi del giudizio contrario espresso dalla sezione intensiva, appurando la mia lucidità e le condizioni fisiche buone.

Io soltanto sapevo il vero motivo del loro stupore, entusiasta, informai della riuscita mia figlia ed una famiglia ospitale francese, cristiana, che si prese cura di entrambe, come se appartenessimo a loro. Descrissi tutti i particolari della mia vicenda in ospedale, come Dio mi aveva liberata dalle mani di infermiere senza scrupoli. Si contarono più di 17 buchi di punture sulle gambe e sulle braccia ma, grazie a Dio, non hanno avuto effetto sul mio corpo, già provato dal delicato intervento.

Le allucinazioni subite determinarono la spinta decisiva per la liberazione, inducendo le infermiere a credere che i forti deliri della notte, mi avessero causato amnesia delle loro malefatte, così ebbi l’opportunità di uscire viva da quel posto, perché io avevo posto la mia fede in Dio e sperato che solo Lui poteva liberarmi.
Dio mi aveva avvertito, prima dell’intervento, che dovevo affrontare e superare una prova, attraverso la sensazione di quel peso interno, mentre pregavo.

Dio desidera che lasciamo totalmente a Lui l’incarico di occuparsi dei nostri problemi e difficoltà, perché il nemico della nostra anima cerca di confonderci, suggerendoci che Dio non può agire per noi, essendo peccatori, non degni della sua benignità, non avendo fede a sufficienza, per cui non possiamo avvalerci del divino aiuto.
Ricordiamoci che queste sono menzogne, satana è bugiardo e non può assolutamente esporci la verità, perciò non crediamogli, ma compiamo secondo l’affermazione di Gesù: “Venite a me, voi tutti che siete travagliati e aggravati, ed io vi darò riposo. Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto ed umile di cuore; e voi troverete riposo per le vostre anime. Perché il mio giogo è dolce e il mio peso è leggero!” (Mt.11:28,30).
Solo in Gesù troviamo riposo, pace, serenità, tranquillità derivante dalla sua sicurezza, perché Egli si è caricato di tutti i nostri peccati e ha portato su di sé i nostri mali e le nostre sofferenze, perciò ci esorta a seguire il suo esempio, a prendere su di noi il suo peso leggero della sua docile ubbidienza, che scaturisce dalla sottomissione all’Eterno.
Dio mi ha dato la forza per resistere, soprattutto nella sofferenza, trovando in Lui garanzia, affidabilità e tutto diventa leggero e dolce, come ho potuto sperimentarlo sulla mia persona.

Posso testimoniare che oggi vivo con due vertebre cervicali bloccate e, a volte, quando ascolto le lamentele e le afflizioni per problemi cervicali di chi ha la colonna vertebrale intatta, io mi confronto e mi meraviglio, ringraziando il Signore che ha operato molto bene la mia cervicale, sapendo inoltre che quando interviene, non sbaglia mai, è perfetto.
Non date ascolto ai suggerimenti che il nemico presenta quando avete dei problemi di salute, ma riflettete su chi può agire meglio di colui che ti ha creato, formandoti con le sue mani, perché conosce la vera causa della tua angoscia e vede cosa c’è in te che non va, molto meglio di una radiografia o di una medicina.
Lui è il guaritore, il dottore dei dottori, vuole solo che tu, riconoscendolo, gli chiedi la tua necessità.

Alla stessa maniera del cieco di Gerico che implorava pietà, si avvicinò a Gesù che gli chiese: “Cosa vuoi che io ti faccia?”. Il cieco rispose: “Rabboni, che io recuperi la vista!” E Gesù gli disse: “Va’, la tua fede ti ha guarito”. E in quell’istante recuperò la vista e si mise a seguire Gesù per la via” (Mrc.10:51,52).
Gesù conosceva certamente il bisogno del cieco, ma ha voluto che proclamasse a voce alta il suo bisogno, rivolgendosi direttamente al Maestro.

Da questo esempio impara anche tu, ora, con tutte le tue necessità, grida al Maestro dei maestri, indirizzando al Signore le tue preghiere, esponendogli chiaramente di guarirti, senza dubitare.
Io esitai ed il mio cuore si arrestò.
Tieni presente che il nemico della nostra anima desidera che noi diffidiamo della Parola di Dio, santa, vivente ed efficace (Ebr.4:12), per cedere ai suoi inganni e soccombere, situazione dove il Signore non può fare più niente per te, se non reagisci.

Oggi, io posso confermare questo, per la misericordia che Gesù ha avuto di me, non mi ha lasciato morire, perché possa affermare con vigore che Dio è fedele e Santo e la sua Parola è verità.
Ribadisco che satana è bugiardo; lui mente quando propone al tuo pensiero che non puoi farcela, perché Dio ti ha abbandonata e ormai nessuno può aiutarti, quindi devi solo arrenderti.
Non credergli e respingilo, dichiarando con fermezza assoluta che sei guarita, uscirai dalla tua malattia o infermità e che lui non ha potere sulla tua persona, per chi appartiene a Cristo.
Sii ferma e decisa, anche nella sofferenza; Dio prova la tua fede e se tu non dubiterai, avrai vittoria, “affinché la prova della vostra fede, che è molto più preziosa dell’oro che perisce anche se vien provato col fuoco, risulti a lode, onore e gloria nella rivelazione di Gesù Cristo” (1Ptr.1:7).

Gesù è stato maltrattato ed umiliato, ma “…per le sue lividure noi siamo stati guariti” (Is.53:5, 1Ptr.2:24).
Non sospettare, non indugiare quando ti troverai ad affrontare qualsiasi problema incomprensibile, lascia nelle mani di Dio e alla sua direzione ogni tua decisione o difficoltà e, quando sopraggiunge il dubbio, caccialo via nel nome di Gesù.
In Gesù esiste certezza, nel nemico c’e falsità, inganno ed omicidio perché “…egli fu omicida fin dal principio e non è rimasto fermo nella verità, perché in lui non c’e verità. Quando dice il falso, parla del suo perché è bugiardo e padre della menzogna” (Giov.8:44).
Preghiamo allora di non cadere nella menzogna di satana, stando fermi nella fede, otterremo vittoria in tutte le nostre malattie e nelle circostanze sfavorevoli. Satana è omicida e desidera la morte dei fedeli, perché se riuscisse ad annientarli, ingannandoli, avrebbe vinto.

Gesù affermò: “Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv.14:6) ed è vita in abbondanza su questa terra e lassù nel suo regno celeste con Lui.
Gesù proclamò: “…Io sono venuto affinché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv.10:10).
Fortifica le tua fede, affidati completamente a Lui come fa un piccolo fanciullo alle cure dei suoi genitori, perché “In verità vi dico che chiunque non riceve il regno di Dio come un piccolo fanciullo, non entrerà in esso” (Mrc.10:15); così deve essere per ogni credente consegnarsi alle guide amorevoli del nostro Padre celeste.
Abbi interamente fiducia nell’Eterno, perché Dio ti ama, vuole guarirti fisicamente, salvarti spiritualmente, donandoti la vita eterna e, come disse al cieco, ora lo ripete a te: “Cosa vuoi che io ti faccia?“. RispondiGli! Lui ti sta ascoltando“.